Tendenze design? Le fanno il mercato e la finanza

Poche punte, anche se livello medio molto alto

Chi dà la forma agli oggetti? Come nasce una tendenza e chi è in grado di dettarla? Quando e come diventa moda? Quale il ruolo della creatività e quale del mercato? Fino qualche decennio fa la risposta era semplice: poche menti ‘illuminate’, sostenute da aziende altrettanto capaci di guardare avanti, sapevano immaginare qualcosa che ancora non c’era e a immetterlo sul mercato, accollandosi ogni rischio di impresa, magari vedendo il prodotto invenduto, per anni, e nonostante questo perseverare sulla medesima strada. Per poi ritrovare quello stesso oggetto segnare la storia, diventare icona mondiale. (Fotogallery)

Oggi questo è un processo assai raro perché il mercato, la finanza hanno occupato un ruolo chiave con un obiettivo diverso: non innovare forme e funzioni, ma perseguire logiche legate alle plusvalenze e dunque al profitto. Se ci si chiede allora perché gli oggetti assumono certe forme, la risposta oggi è che tutto viene studiato a tavolino: sociologia, semiotica, ricerche di mercato, tutte tese e studiare un fenomeno e a lanciarlo, un po’ come si fare con le pop star contemporanee. Talento poco, mercato tanto. Con la conseguenza però che i pezzi ‘che fanno la storia’ del design sono sempre più rari.

Carlo Forcolini, direttore scientifico dello Ied (Istituto europeo di design), cita un esempio su tutti, il Sacco di Zanotta (1968), o la lampada Tizio di Artemide del 1974. Quest’ultima, “per otto anni ha grandissime difficoltà e non entra nel mercato. Poi negli anni seguenti diventa l’incona mondiale del potere del futuro”. Insomma, “un tempo le tendenze le facevano i creativi sostenuti dai produttori che credevano nel loro lavoro. Questo fin tanto che c’erano gli imprenditori veri al comando. Poi al comando sono arrivati i manager, o del marketing o della finanza, e questi che raramente sono creativi e non gestiscono il rischio in prima persona, naturalmente hanno avviato un processo che è quello delle tendenze perché questo, a sua volta, genera una possibilità di azione abbastanza sicura”.

“Oggi di ricerca se ne vede poca” commenta Simone Vago, titolare di Vago Forniture, una delle storiche realtà internazionali della distribuzione del design e del contract. “Le aziende top rincorrono le mode perché sono troppo legate ai fatturati” conferma, evidenziando che “finiti gli anni Settanta e Ottanta, dove il design italiano ha dettato i trend al mondo, oggi si assiste a un fenomeno diverso”, ovvero che “la ricerca la fanno piccole aziende, come ad esempio Desalto, Decastelli, Edra”. Va poi sottolineato, secondo Vago, che “in Europa sono più liberi di sperimentare, penso ad esempio a olandesi e danesi”.

In Italia il ruolo fondamentale giocato dai rivenditori in passato proprio nel lanciare le novità, nello scommettere su nuovi nomi e prodotti è esaurito: “i rivenditori non hanno la forza culturale per lanciare tendenze e pezzi di particolare design. Chi prova viene punito da grossi hub distributivi che lo schiacciano. Resta fondamentale – chiosa – trovare un equilibrio tra tendenza e fatturato”. Resta il fatto che, comunque, qualche cosa di innovativo si trova, come, cita ad esempio Vago, “il tavolo estendibile Skin di Desalto di Marco Acerbi; il divano Absolu di Francesco Binfarè per Edra”.

A riprova del fatto che a dettare le tendenze sia oggi più che tutto il mercato, Cecilia Fabiani, giornalista e critica del settore, cita due esempi: “una tendenza attuale è il ‘lusso’ che si evidenzia nelle finiture ‘oro’ e una outdoor. Gli imprenditori italiani sono tra i più bravi a intercettare i nuovi mercati. Da quando andavano alla fiera di Colonia con la ‘Superleggera’ disegnata da Ponti per Cassina sul tetto della macchina, a oggi che riescono a vendere il design minimale magari con finiture un po’ eccessive anche negli Emirates in Medio Oriente, Russia, Stati Uniti, Cina. L’outdoor, in particolare, perché le case sono già piene e dunque hanno trovato un ambito dove proporre prodotti di design. Un settore, quello dell’outdoor in crescita nettissima in termini di fatturato”.

Insomma, “le tendenze, aggiunge poi Forcolini, “si spiegano attraverso ricerche di mercato da una parte, e ricerche legate ai comportamenti di acquisto dall’altra. Addirittura ci sono quelli che inventano le tendenze, ad esempio un dato colore che diventa tendenza in quell’anno. Sono inventate a tavolino. Non possono essere spontanee. Non è che a un certo punto va il colore albicocca perché l’umanità improvvisamente lo ha scoperto. Ci sono persone che ogni anno producono ‘book’ legati alle tendenze delle forme dei colori e dei materiali per lanciare”. Tutto ciò, fa notare l’esperto, “ha come primo grande avvio l’industria automobilistica e poi, naturalmente, la moda. Quindi, in parte, anche il design, perché ci sono delle contaminazioni tra un mondo e l’altro”.

Forcolini fa notare come “è sempre più difficile andare al Salone del Mobile e vedere una qualità progettuale innovativa, che abbia dentro un’idea. E’ tutto un mondo che si rincorre, con un livello generale ‘medio-buono’ e accettabile, ma mancano le ‘punte’. Un tempo avevamo delle grandi punte, poche ma di qualità straordinaria e planetaria. Così come c’erano pochi produttori, mentre oggi i produttori sono tanti, tantissimi i designer ed è difficile riconoscere in questi qualcuno che possa uguagliare delle personalità del passato. Ma questo segna i tempi, una evoluzione di un processo”. E per tornare al Salone Internazionale del Mobile di Milano “quest’anno di interessante ho visto soltanto due tavoli, disegnati dai fratelli Bourullec per Magis”. E lo scorso anno “il tavolo Opera di Mario Bellini per Meritalia”.

Come a dire che, insomma, la creatività dove si arrende a finanza e mercato muore o quanto meno si assopisce. E la ragione è storica, secondo Forcolini. “Negli anni 60 il design non era assolutamente diffuso e non lo notava nessuno. Ma che cosa succede nel 1971? Una cosa strutturale nell’economia mondiale: Nixon, per effetto della guerra nel Vietnam, rinuncia alla convertibilità del dollaro in oro. Dunque non c’era più quello che dal ’44 in poi, con gli accordi di Bretton Woods esisteva, ovvero il controllo dei tassi di cambio. Dunque, improvvisamente, si crea questa prateria senza regole in cui la finanza ha iniziato a giocare il suo ruolo planetario fino alla grande crisi del 2007 – 2008 che ancora stiamo vivendo”.

“In quegli anni il design incomincia ad avere una reputazione più allargata e, negli anni più sfrenati, gli anni ’90, il design finisce sulla bocca di tutti”. E questo perché il design, così come la moda, viene “individuato dai fondi, dagli enti finanziari come l’ambito nel quale è più facile e veloce creare le plusvalenze più alte. Il design diventa importante perché nel mondo della produzione è il solo che le può garantire davvero”.

Contemporaneamente, osserva Forcolini “questa diventa una grandissima opportunità per il design, perché mai è stato così popolare e conosciuto. Ma rappresenta anche un grandissimo pericolo, poiché laddove si segue il mercato, il design non innova più nulla e si depaupera. Diventa merce e non più cultura: questa è la grande differenza. E noi siamo nel pieno di questa situazione che, se considerata da un certo punto di vista può essere straordinaria. La cartina di tornasole è che le nostre grandi aziende di design così come di moda sono bersaglio di tutti gli enti finanziari, come Flos.

Insomma, “da una parte è una grande opportunità perché vengono convogliati notevoli capitali, ma dall’altra c’è il rischio che in quella logica che si rischia di essere tritati”. E se una volta c’erano “Alias, Cappellini e Pallucco”, le tre aziende individuate da Forcolini come le più innovative e capaci di imporre una tendenza, copiate poi da tutte, oggi non c’è quasi nessuno o quasi: “Arper come azienda, o Giulio Iacchetti che progetta ancora come si disegnava una volta”. La morale di tutta questa situazione è che il design italiano è vivo, da un punto di vista di mercato, perché si sono aperte grande potenzialità con la Cina e il Far East, per esempio. Meno in salute dal punto di vista della creatività, che scarseggia. “Fino alla prossima rivoluzione culturale, come è avvenuto nel ’68” conclude Fabiani, oppure “fino alla scoperta di un nuovo materiale come il led che aprirà nuovi orizzonti creativi”.

Fonte: http://www.adnkronos.com/magazine/moda/2015/06/01/tendenze-design-fanno-mercato-finanza_gptzD5hHuEKlKrQlIOffOP.html

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