Per la Fed il dilemma di Pechino

Nel corso del secolo scorso, la Sterlina è stata sostituita come prima moneta dal Dollaro americano. Non è stato un processo senza difficoltà. Gli Usa erano divenuti la prima economia del mondo ormai nell’ultimo quarto dell’ottocento. Ma l’Inghilterra e il suo impero resistevano come principali fornitori e intermediari di capitali. Londra continuò ad assolvere a questo ruolo fino a quando fu possibile richiamare capitali da intermediare. La prima guerra mondiale introdusse i controlli di capitali per farli restare nelle economie locali. Le cronache di questi giorni recano la reintroduzione da tali controlli da parte della Cina.

Averne voluto fare a meno da parte della dirigenza di Pechino aveva avuto lo scopo ambizioso di mostrare che la Cina poteva passare a un’altra fase, a una economia non sbilanciata verso gli investimenti a scapito dei consumi interni e senza preclusioni verso le imprese e i capitalisti cinesi. Potevano, almeno si dichiarava, scegliere cosa fare dei propri fondi. Fino a quando il tasso di crescita dell’economia cinese era rimasto quello dell’ultimo decennio, cinesi e stranieri davano tutto ciò per scontato. Tutti sembravano fare a gara a voler prestare enormi risorse alle aziende cinesi, in specie a quelle finanziarie. Poi il clima è cambiato. L’annuncio da parte della dirigenza della Fed, ormai un anno fa, che si rendeva necessario un colpo di freno all’economia americana, visto il dimezzarsi della disoccupazione verso il 5%, è restato a lungo un abbaiare, sperando di potersi esimere da dover passare ai fatti. E gli operatori sapevano che a novembre del 2016 ci sarebbero state le elezioni presidenziali a dissuadere la Fed da azioni pesanti. Il colpo di freno potrebbe però arrivare nella prossima riunione della Fed.

Può darsi che Yellen e Fischer concludano che il colpo di freno lo abbiano già inferto con le loro dichiarazioni. A giustificare questa opinione possono citare gli effetti che hanno già ottenuto sui mercati finanziari dei paesi emergenti e sui colpi di freno che le loro autorità monetarie hanno già dato, non avendo scelta di fronte all’esodo dei capitali stranieri e locali, che si aspettavano non solo la fine della moneta facile ma anche l’introduzione dei controlli sui capitali. Fischer, vice presidente della Fed, ha dichiarato al convegno di Jackson Hole, a fine agosto, di essere ben cosciente di avere creato grosse difficoltà alla dirigenza cinese e di altri paesi emergenti. Ma di considerare il proprio compito innanzitutto verso l’economia e i cittadini americani.

Probabilmente lui e la Yellen hanno pensato che l’effetto annuncio potesse bastare. Ma quello che veramente sembra che non abbiano considerato appieno è la catena di ripercussioni delle loro dichiarazioni, ad esempio sui prezzi del petrolio e delle materie prime, delle quali il primo consumatore è l’economia cinese, e sulla domanda d i buoni del tesoro americani, assorbiti dai cinesi come investitori delle riserve che accumulano. Tramite la Cina l’effetto delle azioni americane si spande su tutto l’universo dei produttori di materie prime, sul Brasile, sull’Argentina, sui paesi dell’Africa. L’effetto è in pieno svolgimento anche sulla domanda per beni di investimento, e i grandi produttori, Corea, Giappone e Germania ne risentono.

Ne sono colpiti anche i produttori di beni di consumo di lusso, come francesi e italiani. E se l’effetto sull’economia cinese perdurerà diminuiranno i turisti cinesi, che non solo visitano musei, ristoranti e alberghi ma fanno anche incetta di prodotti di lusso da rivendere a casa. Se tornasse indietro in maniera corposa il cambio dello Yuan, compratori e turisti cinesi avranno dei conti da fare con il diminuito potere della loro valuta nell’acquistare all’estero. Di fronte alle iniziative della dirigenza cinese per arginare gli effetti della politica di annuncio della Fed, non sono pochi coloro che pensano di avere di fronte, a Pechino, un gruppo di leader tra loro divisi e incerti sul da farsi. Gli americani hanno visto anche il riannodarsi dei legami tra Russia e Cina, il neo-confrontazionismo nei confronti di Usa e Giappone, il riarmo esibito. E a Pechino pensano che i creditori occidentali sappiano che gli enormi capitali prestati potranno riaverli solo se i debitori cinesi lo vorranno. Non sono prospettive molto allegre per l’economia mondiale. Sia i dirigenti cinesi che quelli americani ed europei hanno nei prossimi mesi motivi di essere distratti da motivi politici interni e da quanto avviene nel resto del mondo, dalla Siria all’Ucraina. Forse la Bce resta in grado di seguire le vicissitudini economiche cinesi e americane senza distrazioni. Speriamo, così come speriamo che il massage della stampa e degli economisti americani di massimo prestigio professionale riesca a convincere la presidente Yellen e il vice Fisher ad attendere fino all’anno nuovo prima di scegliere.

Fonte: http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2015/09/14/news/per_la_fed_il_dilemma_di_pechino-122904031/

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