E-commerce, i siti minori chiudono il boom è trainato dai colossi del Web

IL SETTORE VA MOLTO BENE, E PER LA PRIMA VOLTA QUEST’ANNO LE VENDITE ONLINE DEL BLACK FRIDAY HANNO SUPERATO I SALDI DEL THANKSGIVING, MA È SEMPRE PIÙ MARCATA LA POLARIZZAZIONE A VANTAGGIO DEI GRANDI PORTALI MENTRE È DIFFICILISSIMO RESISTERE SUL MERCATO PER LE STRUTTURE PIÙ PICCOLE

L’ e-commerce fa boom, ma non per tutti. E se Amazon annuncia di aver messo a segno, in occasione dell’ultimo black Friday, le migliori vendite di sempre con più di 600mila prodotti ordinati in una sola giornata – al ritmo di 25mila l’ora – i negozi online indipendenti italiani appaiono assai meno in salute. Una situazione che emerge dall’analisi dei dati camerali: tra il 2009 ed il 2014, le chiusure annuali di imprese attive nel commercio via web sono passate da 853 a 1941, con un incremento del 128%. Le aperture, invece, rimangono pressoché stabili: nel 2014 sono state 2.237, in linea con le 2.229 nuove attività aperte l’anno precedente. Se da un lato sono molti gli imprenditori che tentano l’avventura del commercio online, la competizione dei grandi gruppi come Amazon o eBay rende difficile per gli oltre 13mila negozi del web restare sul mercato. «L’e-commerce in Italia può essere paragonato a un grande centro commerciale in cui il 95% delle vetrine è occupato dai primi 250 operatori e il 5% da esercenti di dimensioni ridotte», spiega Alessandro Perego, direttore dell’Osservatorio digital innovation del Politecnico di Milano. «È difficile per questi ultimi essere “notati” e trovare un mercato nonostante i potenziali clienti online siano 17 milioni in Italia». Ma il fenomeno, precisa Perego, non è solo italiano. “«L’alta concentrazione del mercato non deve stupire perché è anche
più marcata all’estero. In un contesto così affollato il primo problema è ottenere la visibilità per attrarre un numero di visitatori adeguato a garantire la sostenibilità dell’iniziativa. Il secondo è trasformare la visita degli utenti in un ordine». Una strategia che richiede competenze e risorse: elementi che non sempre caratterizzano le imprese che tentano la strada del commercio sul web. Sono per lo più giovani: elaborando i dati anagrafici dei titolari di imprese attive nella vendita di prodotti sul web, risulta un’età media di 43 anni, quasi 10 in meno dei 52 che hanno mediamente gli imprenditori in Italia. Ma per sfondare nell’e-commerce non basta la buona volontà e la voglia di lavorare dei giovani. Infatti le visite – e quindi i potenziali clienti – di un negozio online dipendono dalla capacità di farsi vedere su motori di ricerca, social network, blog e sui circuiti di advertising. E quindi dalle risorse messe su logistica e gestione della propria presenza online. Per eccellere in questi ambiti servono competenze, elevate capacità di investimento e capacità di innovazione. Le grandi dot.com possiedono queste qualità e hanno un vantaggio competitivo rispetto sia ai piccoli operatori, che hanno capacità di investimento limitate, sia agli operatori tradizionali caratterizzati da una scarsa propensione verso il digitale. Molti commercianti ritengono che l’e-commerce possa essere una minaccia per la distribuzione tradizionale: secondo un recente sondaggio condotto da Swg per Confesercenti, il commercio via web spaventa 3 Pmi su 10. È una minaccia anziché un’opportunità. Il sentimento ambivalente dei piccoli verso l’e-commerce trova riscontro nella pratica: solo il 12% degli imprenditori intervistati nell’occasione, infatti, ha dichiarato di utilizzare il web come canale di vendita, il 38% prevede di farlo, ma il 42% non è interessato nemmeno in futuro. E questo nonostante lo scenario entro cui ci si muove sia certamente dinamico: nel 2015 l’e-commerce di soli beni vale in Italia 7,2 miliardi. La diffusione generalizzata degli smartphone sta contribuendo allo sviluppo dei canali retail digitali. Sono molti i clienti che, prima di acquistare anche in modo tradizionale, fanno la loro scelta consultando Internet, confrontando i prezzi e accertandosi delle caratteristiche dei prodotti a cui sono interessati. Se si considera che l’ecommerce permette la vendita anche su mercati internazionali si capisce che quella del commercio elettronico è e rimane comunque un’opportunità da non farsi sfuggire. «Per non improvvisarsi – consiglia Perego – serve innanzitutto consapevolezza dei propri limiti». Se mancano le risorse, le competenze, e la capacità di innovare, meglio utilizzare i canali che l’e-commerce mette già a disposizione, i cosiddetti aggregatori come i marketplace, i siti delle vendite private e le agenzie online. Gli aggregatori sono operatori che abilitano la presenza online di imprese terze, mettendole nelle condizioni di superare le principali barriere dell’e-commerce. Un altro vantaggio è che favoriscono il cross-border e-commerce: per una Pmi italiana che vuole vendere in Usa è ragionevolmente semplice utilizzare eBay o il marketplace di Amazon piuttosto che attivarsi con un sito proprio. La cosa è ancora più evidente quando i mercati hanno specificità forti come quelli orientali, con una user experience totalmente diversa dalla nostra e paradigmi di comunicazione a noi sconosciuti. Per contro, i servizi delle piattaforme e dei service provider che abilitano la presenza di uno store sulle piattaforme hanno un costo non sempre sostenibile. Jeff Bezos, creatore di Amazon, il più potente sito di e-commerce del mondo. A fianco, uno degli immensi magazzini di distribuzione del gruppo Federico Marchetti, classe 1969, il fondatore del sito di vendita per abiti di moda Yoox IL GIGANTE Nato come marketplace dell’usato, eBay è diventato un emporio affolatissimo al pari di Amazon I PIÙ PICCINI È il fenomento dell’anno: il sito Smallable creato a Parigi offre 450 marchi di vestiti e accessori per bambini MADE IN ITALY È uno dei pochi siti italiani, quotato in Borsa dal 2009, ad aver sfondato nel gremito campo della moda online

Fonte:http://www.repubblica.it/economia/affari-e-finanza/2015/12/07/news/e-commerce_i_siti_minori_chiudono_il_boom_trainato_dai_colossi_del_web-129011981/

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