Pensioni e spending review: aspettiamoci una legge di Stabilità statalista
Renzi tende a posticipare i tagli impopolari e a fare promesse costose. Il rischio è che scattino le clausole di salvaguardia. E non sono bruscolini
Il punto di partenza è che il presidente del consiglio Matteo Renzi è molto più statalista rispetto all’immagine che è riuscito a dare di sé in questi 18 mesi di governo, anche grazie a giornali e televisioni che gli hanno incredibilmente concesso una luna di miele dalla lunghezza degna di un aristocratico dell’Ottocento. Tuttavia nelle faccende umane dopo qualche tempo i nodi tornano al pettine, e – se lo fanno con ritardo ancora maggiore – la matassa finale sarà ancora più ingarbugliata.
Nell’economia di una democrazia liberale come la nostra, il momento cruciale in cui si può capire come il governo in carica se la sia cavata con l’andamento dell’economia e la gestione dei conti pubblici coincide con la presentazione di quella che un tempo si chiamava “legge finanziaria” e oggi si chiama “Legge di Stabilità”: in poche parole stiamo parlando del bilancio preventivo per l’anno successivo, in termini di entrate (cioè imposte e tasse), uscite (la spesa pubblica corrente, gli investimenti e il pagamento degli interessi) e il deficit, cioè la differenza tra le seconde e le prime.
In realtà il governo fa anche i conti sull’andamento futuro dell’economia anche con un orizzonte più ampio, attraverso il Documento di Economia e Finanza (Def) che viene presentato in primavera e che illustra i numeri per l’anno in corso e per i tre anni successivi: dato che c’è uno spazio di tempo di sette mesi circa tra il Def e la Legge di Stabilità, a settembre il governo presenta una “nota di aggiornamento al Def” in cui precisa le sue stime fatte a marzo alla luce degli eventi accaduti nel frattempo: questi sono i numeri più utili per capire quale orientamento potrà avere la Legge di Stabilità, in quanto più recenti.
Le stime di crescita
La prima brutta sorpresa che il governo Renzi appioppò agli italiani fu per l’appunto con la nota di aggiornamento al Def presentata lo scorso anno: il governo dovette abbassare di più di un punto percentuale la crescita prevista per il 2014, all’incirca per metà a motivo di un andamento peggiore dell’economia mondiale, e per metà a motivo del mancato pagamento dei debiti commerciali delle Pubbliche Amministrazioni (quelli che Renzi aveva promesso di saldare entro la fine dell’estate del 2014).
“Quest’anno molto probabilmente la sottilmente cattiva sorpresa è che non ci sono buone sorprese, nonostante le stime molto prudenti del Def”
Che cosa possiamo dire a proposito della nota di aggiornamento al Def prossima ventura? Se nel 2014 la nota di aggiornamento era imperniata su una cattiva sorpresa, quest’anno molto probabilmente la sottilmente cattiva sorpresa è che non ci sono buone sorprese. In che senso? Il punto è stato ben sottolineato da Valentina Conte qualche giorno fa su Repubblica: il governo è stato molto, molto prudente in primavera sulla stima della crescita del Pil quest’anno (lo 0,7%) nonostante le favorevoli circostanze esterne, cioè il petrolio basso, i bassi tassi di interesse e la svalutazione dell’euro contro il dollaro. La malcelata speranza nutrita negli ambienti governativi è presto detta: che la crescita si sarebbe rivelata più forte del previsto, così da consentire una Legge di Stabilità più comoda, più elettorale.
E invece nisba: la crescita nel 2015 rimarrà molto vicina allo 0,7%, lasciando scarsi spazi di manovra all’interno della Legge di Stabilità. Naturalmente spazi di manovra per tagliare le imposte in maniera permanente ci sarebbero eccome, se il governo credibilmente mettesse in atto una revisione della spesa (spending review) rigorosa e incisiva, sul modello di quanto fatto in Gran Bretagna. La realtà delle cose è ben diversa: l’anno scorso fu sostanzialmente dato il benservito al Commissario per la revisione della spesa Carlo Cottarelli (per l’ampia schiera degli smemorati: vi ricordate la discussione tra Cottarelli e Francesco Boccia, a proposito dell’utilizzo dei risparmi di spesa non ancora realizzati per finanziare altra spesa, nella fattispecie prepensionamenti di insegnanti?)
La spending review
Nel 2015 la revisione della spesa dovrebbe avere – almeno nominalmente – maggiore appoggio da parte dell’esecutivo, in quanto i due commissari sono il professor Roberto Perotti e Yoram Gutgeld, il principale consigliere economico di Matteo Renzi. La cifra di risparmi preventivata da Perotti e Gutgeld per il 2016 è di 10 miliardi di euro, tenendo presente che due miliardi circa dovrebbero provenire dal taglio delle agevolazioni fiscali, cioè da maggiori entrate, non da minori uscite.
I risparmi preventivati da Perotti e Gutgeld per il 2016 sono 10 miliardi di euro. Due miliardi circa dovrebbero provenire dal taglio delle agevolazioni fiscali, cioè da maggiori entrate, non da minori uscite
Come ben sottolineato da Alessandro Barbera su La Stampa, i commissari alla revisione della spesa possono avanzare proposte più o meno severe di (sacrosanta) riduzione della spesa, ma la decisione finale spetta a Renzi, il quale sembra sempre gradire l’opzione di posticipare in avanti le scelte faticose di taglio della spesa chiedendo alla Commissione europea maggiore flessibilità sul sentiero per avvicinarsi al pareggio di bilancio, cioè – in parole povere – chiedendo di poter fare più deficit. Parliamoci chiaro: quanto più Renzi prenderà questa direzione del deficit, quanto meno probabile che Perotti mangi il panettone come commissario alla spending review. E saremmo già a due commissari per tagliare la spesa che divorziano da Renzi (o che vengono divorziati).
Questo l’andamento delle risorse, che deve essere confrontato con le promesse fatte da Renzi e con l’esigenza di neutralizzare le cosiddette clausole di salvaguardia, cioè gli aumenti di imposte e accise previste dalle passate Leggi di Stabilità (e in particolare dall’ultima, a firma Renzi/Padoan) qualora il governo non realizzi i risparmi di spesa promessi da esso stesso e dal governo precedente. Non sono bruscolini: un totale di 17 miliardi per il 2016, di cui 13 circa a motivo della Legge di Stabilità Renzi/Padoan e 3 circa a motivo della Legge di Stabilità Letta/Saccomanni.
La Tasi e le pensioni
Si potrebbe guardare con un occhio leggermente più favorevole al quadro complessivo se le promesse fatte da Renzi fossero in qualche modo sensate e ben focalizzate sull’obiettivo di far ripartire l’economia. Niente di tutto ciò. In una situazione in cui il calo del prezzo degli immobili che taglia la ricchezza dei risparmiatori italiani e danneggia i consumi è largamente dovuto alla patrimoniale progressiva chiamata Imu (e che colpisce le case diverse dalla prima) il presidente del Consiglio vuole intervenire sulla prima casa, cioè abolire la Tasi: è più probabile che qualcuno venda la casa in cui vive perché la Tasi è elevata, oppure che qualcuno venda la casa ereditata dai nonni e messa in affitto perché l’affitto non basta a pagare spese e Imu?
È più probabile che qualcuno venda la casa in cui vive perché la Tasi è elevata, oppure che qualcuno venda la casa ereditata dai nonni e messa in affitto perché l’affitto non basta a pagare spese e Imu?
L’altra promessa che potrebbe mettere in pericolo i nostri conti pubblici (e soprattutto il benessere delle generazioni future) è quella di scardinare la sacrosanta riforma Fornero delle pensioni permettendo nuovamente i prepensionamenti, sotto l’eufemistica definizione di “uscite flessibili” dal mercato del lavoro. Fino a prova contraria, nel breve termine i prepensionamenti sono costosi per i nostri conti pubblici in quanto l’Inps incassa meno contributi e deve pagare in anticipo la pensione stessa. Il governo cerca di trincerarsi dietro i sensati calcoli attuariali suggeriti dal presidente dell’Inps Tito Boeri e che consistono nel prevedere un taglio dei trattamenti a chi va in pensione prima, ma la verità politica è un’altra: in Parlamento siedono i Boccia e i Damiano che prima o poi adeguerebbero verso l’alto “prepensioni” troppo basse, sconquassando i conti pubblici, messi a posto nel medio termine dagli statisti Monti e Fornero.
Qualcuno dovrebbe rinfrescare alle 209 personalità che hanno comprato una pagina sul Corriere della Sera per manifestare il loro sostegno a Renzi: nelle primarie del 2012 l’attuale presidente del Consiglio – che oggi vuole abolire la Tasi, prepensionare e spendere in deficit – proponeva di tagliare i sussidi alle imprese per un risparmio complessivo “tra i 12 e i 16 miliardi” (pagina 7 del suo programma di allora).
Fonte: http://www.linkiesta.it/it/article/2015/08/24/pensioni-e-spending-review-aspettiamoci-una-legge-di-stabilita-statali/27133/