Manovra 2016, Renzi punta su tesoretto di almeno 10 miliardi tra sconti Ue e crescita
Così il governo intende trovare 27 miliardi, tra spending review (sanità in testa), rientro capitali e deficit flessibile grazie alla trattativa con Bruxelles
È iniziata già da qualche settimana. Ma è rimasta segreta fino ad ora. E rimarrà “informale” almeno fino al prossimo 15 ottobre. È la trattativa che il governo italiano sta conducendo con la Commissione europea. L’obiettivo è semplice: ottenere un ulteriore “sconto” rispetto ai nostri conti pubblici. Nella sostanza rendere più “leggera” la prossima manovra economica. Aumentare i margini di azione della Legge di Stabilità 2016 e utilizzare tutta la “flessibilità” possibile mantenendo gli impegni fissati dal Fiscal compact. Arrivare, insomma, a quota 27 miliardi come annunciato dal presidente del consiglio senza sacrifici eccessivi o straordinari.
Già lo scorso anno Palazzo Chigi e il Tesoro strapparono a Bruxelles un “bonus” dello 0,4% rispetto al Pil. Una detrazione accordata su base triennale. E che quindi è valida anche per il 2016.
Nel negoziato riservatissimo in cui è impegnato soprattutto il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, però, sul tavolo c’è almeno un altro 0,4% da scontare. Che in termini concreti significa quasi 7 miliardi di euro da mettere nel paniere della prossima Finanziaria. Da impiegare per l’abolizione della tassa sulla prima casa, ma non solo. Considerando che sulla scrivania del presidente del consiglio a Palazzo Chigi sono ancora in bella vista almeno due dossier cui Renzi non vorrebbe rinunciare già in questa tornata di bilancio: un intervento sulle pensioni per rendere praticabile la cosiddetta flessibilità in un uscita e un primo ritocco dell’Ires, l’imposta sul reddito delle società. La prossima Legge di Stabilità che l’esecutivo varerà nei primi giorni di ottobre, quindi, è già stata approntata nelle sue linee guida. Le fondamenta su cui è costruita, poggiano appunto sullo “sconto” da chiedere e concordare con Bruxelles. L’ultimo Def (Documento di Economia e Finanza) approvato la scorsa primavera, fissava il rapporto deficit/pil nel 2016 all’1,8%. Il governo vuole dunque spostare l’asticella almeno al 2,2%. Il premier vorrebbe addirittura salire al 2,6. Ben al di sotto del 3% previsto dai parametri dell’Unione, ma comunque al di sopra degli obiettivi di spesa convenuti solo pochi mesi fa. Per convincere la Commissione ad accettare questo allargamento delle maglie nei conti pubblici, il governo italiano muove la trattativa su due binari distinti. Un primo scomputo dello 0,1%, infatti, verrà chiesto in virtù delle riforme strutturali in corso di approvazione e applicazione. Un altro 0,1% fa riferimento agli investimenti che il nostro Paese dovrebbe fare il prossimo anno. Queste due “giustificazioni” sono formalmente previste come clausole nei Trattati. Le conversazioni informali con i membri della Commissione hanno già prodotto un risultato da questo punto di vista: il governo, insomma, ritiene di poter avere già il via libera per l’attivazione di queste due postille.
Poi c’è un altro 0,2% che viene definito “politico” ai piani alti dell’esecutivo. Appartiene cioè alla discussione diretta con i vertici dell’Ue. Ovviamente su questo il negoziato è molto più complicato. Non a caso in quasi tutti i colloqui riservati, il premier ricorda che lo stato di salute dei nostri conti pubblici è decisamente migliore di quello di altri partner europei. “Noi – rammenta Renzi – non facciamo come la Francia che ha sfondato il deficit/pil andando addirittura oltre il 4%”. E in diverse occasione proprio il capo del governo non ha nascosto di volersi battere per il massimo di flessibilità fino al fatidico 3%. Sta di fatto che a Palazzo Chigi tutti sono convinti di poter avere “concretamente” il via libera almeno su questo 0,2% prima della definizione della Legge di Stabilità. Del resto, fino a quel momento non ci può essere nulla di ufficiale. La Commissio- ne non può emettere i suoi giudizi fino a che il testo della Manovra non sarà stato depositato e trasmesso agli uffici di Bruxelles. Proprio come è accaduto l’anno scorso. Ma il disco verde cui sta lavorando il Tesoro consiste proprio nella garanzia “informale” che non verrà aperta la procedura di infrazione contro l’Italia. E di questo Renzi vuole anche discutere direttamente con il presidente della Commissione Juncker.
Naturalmente la concessione di questo “sconto” suppletivo comporterà per l’Italia un ulteriore ritardo nel rispetto di alcuni obiettivi fissati dal Fiscal compact: il cosiddetto Obiettivo di Medio Termine (la riduzione percentuale del debito) e il pareggio di bilancio.
L’ulteriore margine dello 0,4% nel deficit costituisce dunque la premessa della Legge di Stabilità. Che dovrà trovare risorse per circa 16 miliardi allo scopo di non far scattare le clausole di salvaguardia: senza una effettiva “copertura”, infatti, il prossimo anno aumenterebbero l’Iva e le accise sulla benzina. Almeno altri 5 miliardi, poi, servono a coprire il taglio dell’Imu sulla prima casa.
Dagli 8 ai 10 miliardi verranno recuperati con la famigerata Spending review. Una prima sforbiciata riguarderà la Sanità. Il patto sulla Salute prevede un aumento nel 2016 dei fondi stanziati per 3 miliardi. Ecco, questo aumento – secondo le intenzioni del governo – non ci sarà. Il resto verrà ottenuto attraverso il contenimento e le “incisioni chirurgiche” nella spesa per la Pubblica amministrazione. In particolare nella voce “Beni e servizi”. Un’altra quota di entrate viene attribuita al rientro dei capitali dall’estero, la “Voluntary disclosure”. Il termine finale per presentare tutti i i documenti dell’autodenuncia è slittato di un mese: si arriverà fino al 30 ottobre. E le associazioni dei commercialisti chiedono un ulteriore rinvio. Secondo le previsioni delle Finanze, al 30 settembre si sarebbe potuto contare su circa 4 miliardi. Con un mese in più, le stime si avvicinano alla soglia dei 5 miliardi. Di questi, 1,5 miliardi dovranno essere subito impiegati per disinnescare le clausole che riguardano le accise e l’Ires pronte a scattare a ottobre.
Un altro punto della manovra è centrato sulla crescita. Sempre nell’ultimo Def, il Pil era dato in salita il prossimo anno dell’1,4%. Ma a Palazzo Chigi pensano di poter spuntare due decimali in più arrivando all’1,6% Un dato che metterebbe a disposizione altre risorse (oltre 3 miliardi) e agevolerebbe il processo di riduzione del debito pubblico che dovrebbe iniziare proprio il prossimo anno.
La manovra negli ultimi giorni, poi, è cresciuta nel suo importo anche perché il premier continua a considerare praticabile almeno un intervento aggiuntivo: sulle pensioni o sull’Ires. Il dossier previdenziale, infatti, resta una priorità per Palazzo Chigi. E fino all’ultimo minuto proveranno a inserire una quota di risorse per finanziare la flessibilità in uscita: andare prima in pensione rinunciando a una percentuale dell’assegno. Ma per evitare il flop registrato con il Tfr in busta paga (opzione adottata da una percentuale bassissima di lavoratori) la riduzione della pensione non potrà essere troppo corposa. E per questo servono risorse. L’idea insomma di una riforma previdenziale a “costo zero” è stata già considerata inagibile. L’altra ipotesi si concentra su un’iniziale riduzione dell’Ires.
La manovra, però, deve superare un primo scoglio. Dopodomani infatti il consiglio dei ministri formulerà la nota di aggiornamento al Def. In cui si modificherà il dato della crescita che passa dallo 0,7% allo 0,9% e soprattutto quello del debito, ancora in un aumento. Un provvedimento che dovrà essere approvato in Parlamento con un voto qualificato: la maggioranza assoluta dei deputati e dei senatori. Ma c’è un piccolo problema cui gli uffici legislativi dell’esecutivo, della Camera, del Senato e del Quirinale stanno ormai lavorando da qualche giorno. Anche perché non esistono precedenti cui fare riferimento. In base alla legge 243 del 2012, le correzioni sono possibili (in questo caso la nota negativa è solo il debito) in presenza di eventi straordinari o di recessione. Ma entrambe le due circostanze non si sono verificate. La questione è solo tecnica e tutti sono sicuri di poter trovare una soluzione adeguata. Tutti, però si aspettano anche un bel po’ di proteste in Parlamento.