Realtà virtuale: StarBlood Arena incrocia moda, marketing e futuro

Starblood Arena è il classico gioco a cui non mi sarei avvicinato neppure sotto tortura. Non certo per l’uso della realtà virtuale che mi affascina ma per l’elemento di guida-dell’astronave-nello-Spazio che non mi ha mai davvero appassionato. Poi sulla carta sembra il mix modaiolo più scontato: prendi lo stile del gioco rivelazione dell’anno scorso (Overwatch), prendi il multiplayer competitivo che piace a tutti, e prendi alcuni elementi della più classici combattimenti su astronave con tanto di raggi, missili ed esplosioni nel buio. Metti tutto assieme e proiettalo sul visore del Playstation Vr. Apparentemente, una operazione di marketing puro. Quando però ti accorgi che stai giocando da una decina di minuti e non ci sono praticamente malesseri da chinetosi (nausea, stanchezza ecc). Quando ti accorgi che ti stai pure divertendo. Allora, solo allora ti rendi conto che la realtà virtuale ha qualche piccola speranza nell’industria del videogame. Piccola, solo perché il gioco in questione è per ora una demo tecnica ben realizzata. Ma è il segno che gli sviluppatori stanno imparando la grammatica di un linguaggio. Hanno imparato a ridurre la motion sickness e a scrivere gameplay meno frenetici. StarBlood, ci auguriamo, possa essere in questo senso il primo di una nuova generazione.

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